Un pizzico di storia

Nell'anno 1409 Fiore dei Liberi componeva il Flos Duellatorum, manuale e data assai noti nell'ambito della ricostruzione storica italiana ed estera. Pochi però ricordano un concilio papale, in quel lontano maggio, proprio nella città di Cividale che a tanti maestri di spada aveva dato i natali e dimora. Intenzione di papa Gregorio XII era deporre il rivale, Alessandro V antipapa ma, nonostanze gli sforzi politici, lasciò la gastaldia cividalese con un fallimento, ma senza l'amaro in bocca. Tra i suoi appunti egli ricorda infatti un dolce nuovo, chiamato hubanza. E' questa la prima attestazione di un nostro tipico: la gubana, un dolce, in pasta da forno lievitata, ripeno di frutta secca (pinoli, noci, nocciole) e uva passita, ammorbidite nell'acquavite. Un dolce che proprio nelle valli del Natisone vede natali e tradizione. 
Per un'altro grande protagonista delle nostre tavole dobbiamo aspettare l'arrivo in Friuli di Maestro Martino comasco (c.a 1430 - fine XV sec), interprete del frico, il tradizionale formaggio cotto tipico del nostro territorio. Ci piace pensare che la ricetta sia molto più antica, che il formaggio fritto fosse un modo per conservare il Montasio, prodotto nell'abbazia di Moggio nell'udinese fin dal XIII secolo, e che fosse croccante e friabile come la variante moderna, quella senza patate (arrivate tardive nelle nostre terre, appena nel 1766). Martino infatti propone il caso in patellecte in una variante morbida e calda, arricchita però di zuccharo et de cannella, un contrasto tipico della cucina dell'epoca, e tipico del Maestro, che guiderà l'arte culinaria portandola nel pieno del rinascimento.
La polenta è immancabile sulle nostre tavole, servita su taglieri di legno e tagliata rigorosamente con un filo anzichè con un coltello; siamo usi scherzare: "polente e su sur" (polenta e sua sorella), per indicare l'abbondanza di questo piatto nella nostra cucina: polenta con contorno di polenta. Almeno dalla fine del 1600 si prepara con la farina di mais (blave), portata dalle americhe, prima invece erano il farro e la segale ad essere utilizzate. La polenta è lungi dall'essere un'esclusiva della nostra regione: in tutto il mondo esistono modi e tradizioni per cucinare le farine e farne contorni, ciononostante ci sentiamo un po' i padri putativi di questa ricetta, perchè per necessità più che fantasia l'abbiamo portata con noi in più di un modo: troppo spesso da sola negli anni di miseria, o accompagnandola con tutti i piatti della nostra regione: polente e formadi in prims (polenta e formaggio, quasi sempre Montasio), ma anche col frico, con i funghi, col musèt, il cotechino friulano; addirittura i nostri genitori sono cresciuti a polenta e caffellatte, noi a polenta e marmellata.
Menzione particolare va alla brovada,forse il piatto più povero della nostra tradizione, e consueto accompagnamento del cotechino e delle carni bollite. Si tratta di rape rosse macerate nelle vinacce, con un procedimento lungo e complesso anche di due mesi, che garantisce la conservazione dell'alimento per un tempo molto lungo. Poichè la macerazione richiede rape e vinacce, si prepara in autunno, dopo la vendemmia e risulta perciò un piatto tipicamente invernale dal gusto forte e acido.
Possiamo inquadrare la cucina friulana, oggi come allora, come una cucina povera, di terra, pesantemente legata al suolo e all'interno, con necessità di avere alimenti molto energetici e di conservarli a lungo per superare gli inverni umidi e duri delle nostre pianure e montagne. Tuttavia fanno capolino, alcuni piatti di pesce povero, specialmente di mare, che provengono dalla parte meridionale della regione, con influenze venete e slave. Uno per tutti: il boreto alla graesana, la zuppa di pesce di grado, perlopiù rombo ma non solo; la totale assenza di pomodoro e l'abbondanza di pepe sono indizi di un'origine altomedievale, quando il pescato fluviale era appannaggio delle classi abbienti e quello marino degli strati inferiori della società.